
Ho letto questo libro poco prima che iniziasse la Pandemia e ho avuto letteralmente i brividi pensando a quell’immane tragedia in cui intere famiglie sono state sterminate dalla Spagnola. Ma guarda un po’ cosa è successo? E’ arrivato il Covid e io ho subito ripensato a Notte e Neve. Che cosa incredibile vero? Dopo averlo letto è arrivata la nuova Spagnola.
Il libro come avrai capito parla di quel terribile evento drammatico e costellato da milioni di morti nel mondo.
Rileggendo il libro ed in particolare questo paragrafo un brivido freddo mi ha percorso la schiena e la pelle si è accapponata perché mi sembrava di leggere un racconto riguardante il Covid.
“Come si scoprì anni dopo, la malattia si trasmetteva nell’aria:
un colpo di tosse, uno starnuto di un ammalato,
e per qualche metro attorno a lui,
c’era un’invisibile nube di goccioline:
chi le respirava era come ferito,
e molto spesso a morte.”
Terrificante, vero?
Alla fine della Grande Guerra, fece più vittime del conflitto mondiale stesso.
La protagonista è una ragazzina. Mi sono documentata, davvero incuriosita da questo libricino che si legge tutto d’un fiato ed ho scoperto che si tratta della mamma di Mino Milani, Piera Castelli.
Si tratta dunque di una sorta di autobiografia dell’autore, che ci offre uno spaccato della vita della sua famiglia ai tempi della Spagnola, raccontandoci la forza interiore di sua madre, all’epoca bambina. Piera infatti a soli 14 anni si è trovata ad affrontare la terribile epidemia Spagnola che ha mietuto milioni di vittime in tutta l’Europa e nel mondo intero.
Nel 1917 Piera Castelli viveva ancora a Siziano, in un bel palazzo lombardo di fine Ottocento, e fu l’unica a non essere contagiata dalla malattia.
“I due grandi leoni in pietra, in quella notte di dicembre, non bastarono a spaventare la Spagnola che contagiò in modo dirompente tutta la famiglia, tranne mia mamma Piera”
“Aveva solo 14 anni e si dovette rimboccare le maniche. Era l’unica ancora in piedi, risparmiata non si sa perché dalla malattia”
“In paese ci furono migliaia di morti e un solo medico in prima linea, il dottor Pietra”
Il medico, un uomo dal carattere forte ed autoritario, grande, grosso e con i capelli bianchi, fu una vera e propria guida, un vero e proprio riferimento, per la ragazzina che si ritrovo completamente sola ad affrontare la Spagnola per proteggere i suoi cari dalla morte. Dovette infatti curare tutta la sua famiglia, seguendo le indicazioni del dottor Pietra, il medico del paese.
“Fu una dura lotta per strappare i familiari alla morte, combattuta giorno per giorno con tenacia, altruismo e speranza”
In poche pagine, Notte e Neve narra a bambini e ad adulti tutto lo smarrimento, la paura, l’incertezza, lo sfinimento di quei giorni vissuti dalla madre e da milioni di persone. Queste stesse emozioni ci sono familiari perché con il Covid le abbiamo provate tutti, in modo più o meno forte. Specialmente coloro che hanno perso un caro o un conoscente a causa del virus. Alcuni, come Piera con la Spagnola, sono risultati immuni al Coronavirus, esattamente come è accaduto con la Spagnola. Altri sono morti così, all’improvviso, soli su un letto di ospedale, senza neppure poter salutare i propri cari.
Quella che ci racconta Mino Milani è una storia che insegna a non avere pregiudizi, perché una bambina può avere il coraggio e la maturità di un adulto, ed una vecchia insegnante odiata da tutti può diventare, assieme al medico del paese, il suo unico conforto e la sua sola forza. Questo libro, corto ma che in poche pagine dice tantissimo, racconta di un’amicizia che nasce nel momento del bisogno, perché di fronte alla morte, una mano tesa ad aiutare il prossimo, può davvero trasformarsi per qualcuno in una preziosa ancora di salvezza.
In questo periodo, in cui si parla tanto di Coronavirus e di tante famiglie divise, dove il timore di ammalarsi prevale sul buonsenso ed i sentimenti, dove ognuno pensa per sé e pochi per gli altri, il ricordo di questo libro è stato veramente pesante da leggere, come un macigno sul cuore.
Ciò nonostante lo consiglio. Una piccola perla che vuole aiutare i bambini (e gli adulti) ad affrontare con coraggio e sensibilità, con maturità e serenità, la paura del contagio, pensando ad aiutare il prossimo senza emarginarlo, senza creare una piccola bolla attorno a sé pronti ad escludere il resto del mondo ed a girare lo sguardo altrove di fronte alla sofferenza.
Un libro che un bambino può leggere tranquillamente già nella scuola primaria, poiché pur essendo scritto in minuscolo, è abbastanza breve. Piacevole da leggere anche per un adulto e quindi ideale per un genitore che vuole condividere questa lettura con il proprio bambino.
Il linguaggio è forse non proprio attuale e, nel caso di bambini molto piccoli, necessita dell’assistenza di un adulto per essere compreso bene. Trattando di argomenti come la malattia e la morte lo eviterei come lettura serale. Le pagine sono alleggerite da una bella impaginazione pensata per un pubblico di giovanissimi. Sono molte infatti le immagini che permettono al piccolo lettore di apprezzare maggiormente il libro.
La mia riflessione dopo aver letto questo libro.
Mai avrei pensato che nel 2020, in un Paese come il nostro, in un momento storico come questo, con il progresso che ogni giorno fa passi da gigante, ci saremmo ritrovati tutti a tremare per un virus che avrebbe spazzato via le nostre certezze, la nostra salute, il nostro benessere economico.
Vedere le foto in bianco e nero della gente di quel tempo, con le mascherine sul volto, ci ricorda che basta davvero un attimo per perdere tutto, perché il mondo come lo conosciamo cambi completamente, a causa di una pandemia mondiale.
Ricordo ancora di essere rimasta a casa con le mie figlie, in DAD (didattica a distanza). Ricordo che seguivo con ansia il resoconto giornaliero dei contagiati, dei sopravvissuti, degli sfortunati in terapia intensiva e di quelli che purtroppo non ce l’avevano fatta. Che erano entrati in ospedale positivi al Covid ed usciti in una bara.
Ricordo la caccia alle streghe non appena qualcuno malauguratamente starnutiva, ricordo gli sguardi diffidenti degli anziani verso i bambini, gli stessi che prima della Pandemia avrebbero guardato con tenerezza, magari regalando loro anche una carezza e una parola gentile.
Ricordo l’accanimento contro chi poteva uscire di casa per portare a spasso il cane, contro chi poteva uscire per andare a correre, tutti ce l’avevano con tutti, era come se la società si fosse divisa in una miriade di piccoli partiti: i genitori, i runner, i proprietari di cani, i dipendenti pubblici che volevano la chiusura di tutto, i negozianti e i gestori di hotel e locali che volevano tutto aperto.
Ricordo i colori e non ho mai amato così tanto il bianco e odiato così tanto il rosso. L’arancione mi stava sulle scatole perché era un rosso camuffato da arancione. Il giallo equivaleva alla speranza, quella di tornare bianchi, ma anche presagiva il disastro, quello di diventare arancioni e quindi rossi.
Ricordo la paura di andare in giro non tanto solo per il timore di essere contagiata, quanto per il fatto che in zona rossa non potevo andare in bagno, e io quando vado in giro ho bisogno di una toilette come dell’aria che respiro.
Ricordo, ricordo, ricordo….
Ricordo che quando sono finalmente uscita di casa dopo mesi rinchiusa tra quattro mura, ho visto un mondo che non riconoscevo più. Mi sembrava di essere atterrata su di un pianeta alieno. La gente indossava la mascherina. Quella che prima di ritrovarmi reclusa in casa veniva guardata con derisione dai cassieri del Conad della mia città, perché suvvia, non bisognava essere troppo paranoici. E invece poi…. Sono iniziati i morti. Quegli stessi cassieri che ho rivisto dopo mesi non erano più gli stessi. Ombre scure sotto gli occhi, sguardo spento e rassegnato, lievemente impaurito perché ogni tanto qualche collega finiva in quarantena e allora scattava il terrore, quello di essere stati contagiati.